La bufera sul Parco Ovest non si placa
Venerdì mattina lo striscione della discordia svettava tra due piante del parco pubblico di via Promessi Sposi, proprio a ridosso del sagrato della Chiesa parrocchiale di San Giuseppe. A lettere cubitali su sfondo bianco, citando Giorgio Gaber, lo stesso recitava: “libertà è partecipazione”. Poco importa, poi, che il messaggio non fosse firmato: il riferimento alla riunione delle reti sociali della sera prima, quella tanto attesa dal quartiere con oggetto la vicenda del Parco Bergamo Ovest, era quasi scontato. E, di fatti, la bagarre non si è fatta attendere. A tenere banco per l’intero weekend è stato un piccato Assessore Angeloni che, ripubblicando su Facebook la foto dello striscione con un post piuttosto polemico, ha di fatto scatenato una nuvola di commenti e discussioni parallele, dando libero sfogo alle tante voci preoccupate levatesi a difesa del Parco Bergamo Ovest. E d’altra parte, che il bubbone creatosi nell’ultimo mese scoppiasse, era oltremodo prevedibile.
Ma andiamo con ordine. La genesi della vicenda risale al 20 dicembre scorso, quando, a mezzo stampa, l’Amministrazione del Sindaco Gori rendeva pubblica l’approvazione in Giunta di un protocollo di intenti con il Gruppo Ferretticasa, relativo al piano attuativo per la ristrutturazione dell’ex Principe di Napoli di via Tasso. Esso sarebbe da realizzarsi con oneri extra da maturare attraverso un intervento di nuova edificazione nell’area compresa tra l’ex-BAS di via Moroni 337 e una porzione consistente dell’area naturalistica antistante, compresa tra la via stessa e la ferrovia ad essa parallelo (indicata nel PGT come AT_a20). Già il giorno seguente, emergeva una prima presa di posizione dell’Associazione Per il Villaggio, dove si esprimeva legittima preoccupazione per le sorti dell’area, individuata come parte integrante dell’incompiuto Parco Bergamo Ovest. Contestualmente alla ‘svolta’ sull’ex Principe di Napoli, infatti, da Palafrizzoni trapelava un preliminare di piano attuativo che, per 24,000 metri quadri di edificato nell’area AT_a20, prevedeva, oltre a nuove residenze e una RSA, anche un hotel a ridosso della circonvallazione (in una porzione dell’area in questione che, pure stringendosi ad imbuto e misurandosi con la cesura generata dalla circonvallazione stessa, costituisce con tutta evidenza l’ultima connessione verde tra Parco Bergamo Ovest e Parco Agricolo Ecologico) e l’ennesimo spazio commerciale di medie dimensioni che insisterebbe sui quartieri di Villaggio Sposi, San Tommaso e Colognola.
A questo primo scambio di battute e (stante indiscrezioni raccolte) a fronte di allarmati giri di email, messaggi e telefonate indirizzate a componenti o persone di riferimento della Giunta, gli Assessori Angeloni e Valesini inviavano una lettera alle reti sociali dei quartieri di Villaggio Sposi e San Tommaso, comunicando la loro disponibilità a promuovere un incontro informativo sul tema. E qua sorge il primo aspetto problematico della procedura individuata: il futuro del Parco Bergamo Ovest e, dunque, integrità e consistenza della Cintura Verde pensata dal PGT a contenimento dell’espansione della città tutta è materia riservata a residenti e attori di quartiere di Villaggio Sposi e San Tommaso o materia di confronto pubblico allargato alla cittadinanza? L’importanza di quell’area, posta a ridosso di una delle tre stanze verdi individuate dal PGT, farebbe propendere per la seconda opzione. E poco conta se, come asserito nella lettera dagli assessori, la disponibilità al confronto viene ben prima dell’approvazione del piano attuativo: la Cintura Verde è individuata come elemento strategico dal PGT, il suo futuro non dovrebbe essere oggetto di progettazione partecipata da principio? La consultazione pubblica non dovrebbe proprio precedere qualunque accordo formale tra Giunta e attori privati?
Ma non si tratta dell’unica perplessità circa le modalità partecipative studiate dagli assessori. Dopo il lancio dell’incontro promosso dalle reti sociali (tramite piattaforma) per discutere con gli assessori il progetto in questione, fonti consultate negli ultimi giorni riferiscono di successivi aggiustamenti in corso d’opera. In sostanza, la prima chiamata per l’incontro delle reti sociali dei due quartieri, fino ad allora sempre aperte alla partecipazione di residenti e attori di quartiere in linea di principio, è stata sostituita in corso d’opera con una chiamata riservata alle persone ritenute regolari frequentatrici delle reti sociali, ovvero in base a un qualche principio di selezione meritocratica associato al grado di assidua partecipazione, valutata discrezionalmente dall’operatore di rete in base a conoscenza diretta e verificato impegno individuale. L’Assessore (con delega alla partecipazione) Angeloni ha fatto sapere via Facebook di essere dispiaciuto: «che alcuni soggetti abbiano, evidentemente in malafede, pubblicizzato la riunione delle due reti definendola assemblea pubblica e proponendone la partecipazione a soggetti al di fuori delle due reti di quartiere». E ancora: «questo ha creato un aspettativa distorta. L’incontro di giovedì era un incontro propedeutico al percorso di partecipazione (aperto a tutti) che realizzeremo sulla trasformazione urbanistica». Nell’apprendere e fare appunto mentale della buona notizia, ovvero che il percorso di partecipazione che gli assessori hanno in mente sarà aperto a tutti (e tutte), va però rilevato l’evidente cortocircuito insito nel parlare di reti sociali delineando un dentro e un fuori. Inoltre, è davvero sorprendente leggere che, per l’Assessore, chi definisce ‘pubblico’ lo spazio di dialogo rappresentato dalle reti sociali o estende l’invito alla partecipazione a ‘soggetti al di fuori delle due reti di quartiere’ alimenterebbe ‘aspettative distorte’. Viene da domandarsi allora in che misura contesti che, per ammissione dell’Assessore, non posseggono un profilo pubblico possano essere assimilati a strumenti di partecipazione democratica e cittadinanza attiva.
La sensazione è che, in questa storia, le reti sociali dovessero fungere da filtro per attenuare il dissenso verso gli interventi edificatori sul Parco Bergamo Ovest e circoscrivere l’ambito della partecipazione a una platea selezionata sulla base di comprovata disponibilità e affidabilità. Quando il meccanismo si è inceppato, sono venute a galla le contraddizioni. Innanzitutto, vale la pena riflettere sulla divisione artificiosa tra Parco Bergamo Ovest 1 (confinante con San Tommaso e anch’esso interessato da interventi edificatori in via di definizione) e Parco Bergamo Ovest 2 (confinante appunto con Villaggio Sposi). Sulla base di tale divisione, la partecipazione al processo decisionale relativo alla sorte della porzione di parco confinante con San Tommaso (o, per meglio dire, alla discussione su migliorie circostanziate entro progetti non questionabili nel complesso poiché sempre trattati come inevitabili) è stata circoscritta a residenti di San Tommaso. Analogamente, da principio, la questione del Parco Bergamo Ovest 2 è stata narrata come questione di pertinenza della popolazione del Villaggio Sposi. Per meglio dire, in entrambe i casi, non solo una questione evidentemente di scala urbana è stata ridotta a mera questione di quartiere (anzi, questione per metà di un quartiere e per metà dell’altro), ma la popolazione del quartiere è stata riduttivamente assimilata a residenti e attori partecipanti abitualmente alla rete di quartiere. Di quest’ultima, nel caso del Villaggio Sposi, una volta scoppiata la contraddizione, si è provveduto a delimitare il perimetro. Che poi gli assessori abbiano ribadito che il percorso partecipato sarà disegnato insieme a un gruppo di quattro o cinque persone individuate tra assidue frequentatrici di entrambe le reti (ovvero da 2,5 residenti per quartiere) non fa che confermare il quadro.
Il valore delle reti sociali dei quartieri per quanto attiene alla partecipazione a iniziative di natura sociale (come, ad esempio, organizzare la festa di un quartiere, o rafforzare le funzioni di welfare di comunità mobilitando nuove energie e favorendo le sinergie), piuttosto che alla decisione sulle problematiche più svariate rispetto ai problemi del quartiere non è qui in discussione. Ma viene da chiedersi se le stesse reti sociali siano lo strumento più opportuno quando si tratta di questioni di scala urbana, o il cui impatto è destinato a modificare il volto della città nel suo insieme, o, ancora, quando si discute di interventi destinati a erodere le sopravviventi aree ad elevato valore naturalistico e di biodiversità. In questi secondi casi, il primato accordato alle reti sociali rischia di ledere, insieme alla qualità del dibattito democratico allargato, anche la capacità di mediazione dei corpi intermedi, la dialettica degli interessi organizzati, le funzioni di composizione dei conflitti politici e ambientali che, per quanto difficili, sono garanzia (e non esternalità) della vita democratica. In questo senso, non è possibile distogliere lo sguardo dall’evidenza che, mentre gli assessori Angeloni e Valesini incontrano alcuni residenti a porte chiuse, il fronte cittadino in difesa del Parco Bergamo Ovest si allarga. Non è soltanto l’Associazione Per il Villaggio ad aver palesato pubblica contrarietà all’intervento in discussione. A prendere la parola è stata anche l’aggregazione di Bergamo Bene Comune. C’è poi l’emanazione provinciale di Fridays for Future (di cui l’Amministrazione ha già formalmente accolto il grido di allarme deliberando lo stato di emergenza climatica e ambientale lo scorso giugno), il cui comunicato in difesa del parco difficilmente è passato inosservato. Sono voci che si levano a ricordare che, sul clima, non è più tempo di indugi.
Le perplessità non si limitano al metodo: anche questioni di merito richiedono menzione. L’argomento centrale a favore del progetto di Ferretticasa, nell’impossibilità di difendere un progetto indifendibile, è quello dell’inevitabilità del progetto stesso: è scritto nel PGT, scolpito nella pietra. Eppure, se la Cintura Verde fosse davvero questione emergenziale, la Giunta avrebbe potuto acquisire l’area quando era all’asta, in una delle tante aste andate deserte prima della sortita di Ferretticasa (quando il terreno era giunto ad un deprezzamento drastico di poco più di un milione e mezzo di euro). Vi è poi l’esproprio, il quale è sempre liquidato come poco praticabile, salvo poi tornare opportuno quando in gioco vi sono opere come l’alta velocità (per fare un esempio noto alle cronache). Vi è poi lo strumento della perequazione, aree di decollo e aree di atterraggio per trasferire crediti edificatori e salvaguardare aree di interesse pubblico. E, ancora, una osservazione così banale da risultare ingenua: perché nel PGT, nella tavola grafica dell’area in questione (AT_a20), solo l’area ex-BAS è indicata con il colore grigio, mentre il resto viene indicato con il colore verde, se poi, nei fatti, la stessa area dell’ex-BAS si sostiene non poter contenere tutte le volumetrie previste? È il PGT ad essere ingannevole nella formulazione o sono le interpretazioni e gli interessi degli anni a venire a rendere elastica tale formulazione?
Si tratta di perplessità e quesiti ancora senza risposta, e fin tanto che rimarranno tali sarà inevitabile pensare che questa inevitabilità, questa assenza di mezzi e soluzioni alternative praticabili, sia sempre e sistematicamente a favore dei Ferretticasa, i Ferretticasa di tutti i tempi e i luoghi, che non hanno bisogno di riunioni di rete e domande da porre col cronometro, perché con l’Amministrazione negoziano a tu per tu, a porte chiuse e senza dover esibire requisiti di merito all’operatore di rete di turno. I Ferretticasa sono inevitabili, sono scolpiti nella pietra, come i loro progetti nel PGT. Anzi, i Ferretticasa sono essi stessi il nostro PGT. È strano, perché di fronte a questa inevitabilità dei Ferretticasa stonano davvero le parole dell’Assessore Valesini che, testimoni riferiscono, durante la riunione di giovedì scorso a porte chiuse, smentivano fermamente l’esistenza di qualunque accordo o progettualità già fissata. E stonano non soltanto perché i Ferretticasa sono inevitabili e hanno sempre la legge dalla loro, ma anche perché non si riesce ancora a capire come, senza alcun accordo e nulla di definito, se certezze e garanzie, il signor Ferretticasa abbia potuto impegnarsi a mobilitare ben tre milioni di oneri aggiuntivi per l’ex principe di Napoli. E questo ci riporta all’inizio di questa storia con il più grande dei quesiti: un costruttore che si impegna a versare tre milioni di oneri aggiuntivi senza nemmeno un accordo e alcuna certezza sul tavolo cosa è se non un filantropo? Trovate voi la risposta.
Tratto da BgReport.
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